C di COMPASSIONE
Se la gentilezza è un requisito indispensabile di socialità e autentica apertura verso l’altro da noi, la compassione ci parla di una natura più profonda della relazione.
Alzi la mano chi non ha mai sperimentato il bisogno di vedere soddisfatto il bisogno di ricevere aiuto ed il sentimento di sollievo nell’ottenere attenzione e ascolto.
La compassione, parola che deriva dal latino cum patior “soffro con, soffro insieme”, è ancor più generosa.
Chi sperimenta la compassione, non solo riconosce disagio, vulnerabilità, sofferenza in chi ha di fronte, ma nello stesso tempo sente la necessità urgente di alleviare, risolvere, tamponare, curare, portare soluzioni.
La compassione ha bisogno di attenta osservazione, qualità di presenza e ascolto, assenza di giudizio, capacità di stare nella difficoltà dell’altro rimanendo nello stesso tempo empatici, connessi e lucidi in modo tale da sorreggere il processo di ricerca di un reale aiuto. Coltivare la compassione permette di osservare con consapevolezza e comprensione i punti deboli propri e altrui, collocandoli nel contesto dell’umana possibilità di sbagliare “, partendo proprio da lì per potenziare abilità e risorse.
Riconoscere un ambiente nel quale la compassione circola liberamente non è difficile.
In quegli spazi di vita e lavoro ci si può liberare delle robuste armature che chiudono e respingono i sentimenti, il conflitto e la vulnerabilità sono accolti, gli errori sono trasformati in apprendimento e la competizione lascia il posto alla cooperazione.
Ed è così che in quegli spazi la compassione appare come segno distintivo di una gentilezza autentica, consapevole e concreta.
Valeria Pruzzi