V di VALORE


Prendendo a prestito le parole di un articolo della filosofa Emanuela Fornari,[1] “Valore” è un termine polisemico in duplice senso. La sua polisemia è manifesta in ragione del diverso significato che il concetto di valore assume nei due ambiti in cui indiscutibilmente regna: l’ambito dell’economia e quello della morale. Si tratta di due ambiti distinti, ma per altro verso interconnessi.

Il ricorso al concetto di valore si è trasformato nel tempo ed è passato attraverso diverse transmutazioni, a partire dall’essere inteso come criterio-guida, come Principio ordinatore oggettivo, indiscutibilmente superiore e universalmente riconosciuto, rappresentato dal mondo classico in autori quali Platone e Aristotele, con l’idea di arché.

La tesi sostenuta dalla Fornari è che il passaggio dalla logica del Principio a quella del Valore ha innescato, a partire dall’età moderna, un’irreversibile tendenza dissolutiva e deoggettivante, rappresentata da una dinamica di progressiva soggettivazione della logica del valore.

Il valore non è più oggettivo ma sempre più soggettivo. Ossia “il valore non è, ma vale” e ciò che vale non esiste mai di fatto, ma deve piuttosto «essere posto in atto» attraverso una decisione.

Le assunzioni di valore non rappresentano dei “punti di vista”, ma piuttosto dei “punti di attacco”.[2]

A sostegno di questa tesi troviamo il significato etimologico della parola: un termine tardo latino, Valòre, derivato dal verbo valere che, riferito a una persona, viene associato al lemma “virtù” che, derivato a sua volta dal latino classico virtus, ha il significato di “valore”.

Senza intrometterci troppo nelle dissertazioni intellettuali e filosofiche, molto vive e appena accennate, riguardo a questo termine, forse abusato talvolta anche a sproposito, quando sdradicato dal suo terreno di origine; ci permettiamo di dire la nostra in merito alla correlazione che intravvediamo tra questa parola, la sua storia, le sue evoluzioni e la gentilezza.

Siamo alle ultime battute dell’alfabeto e la scelta di questi brevi cenni ci è sembrata opportuna per affermare che la Gentilezza è diventata un valore moderno; un habitus, una virtù che l’individuo può manifestare decidendo di comportarsi in modo gentile.

Comportamenti non scontati, fatti dinamici, da assumere come punti di attacco ad altri comportamenti meno gentili. Un valore che abbiamo il compito di diffondere, un contenuto che è materia di in-forma-azione. Da intendere come capacità evidente di agire per imprime una forma gentile alle diverse interazioni tra persone e tra queste e il mondo naturale che le contiene e tutti gli ambienti in cui l’individuo si trova a vivere, dall’ambito dell’economia e quello della morale.

Poala Fusaro


[1] Emanuela Fornari, filosofa, (Articolo di), Sul concetto di valore/2, 17 dicembre 2020

[2] Carl Schmitt, La tirannia dei valori, cit. 55-56.