N di NORMALITA'
Una frase celebre dice che “Da vicino nessuno è normale”. Sul solco di questa motivetto, possiamo dire che spesso essere gentili e comportarsi con il nostro prossimo e/o collega di conseguenza può farci sembrare come “non del tutto normali”. E, al di là di un ritorno, anche un po’ modaiolo, diciamolo pure, della gentilezza, sembra che relazionarsi gentilmente non sia visto come consueto, normale, appunto!
Se però ci avviciniamo gli uni agli altri e accorciamo le distanze di sicurezza, potremo scoprire che, nel profondo, ciascuno di noi desidera essere trattato con gentilezza e che quando entriamo a contatto con una persona o un contesto in cui si respira un clima fatto di gentilezza, ci si sente molto meglio, rispetto a quando si entra in ambienti caratterizzati dal loro contrario.
Anche le neuroscienze ci vengono in soccorso in tal senso, confermando che quando siamo gentili gli uni con gli altri e ci muoviamo in ambienti gentili, le nostre facoltà trovano un terreno più fertile per crescere e svilupparsi. Il rilascio di serotonina e ossitocina vengono stimolate, con la riduzione conseguente di paura e ansia. Essere gentili può aumentare anche l’autostima e ci aiuta ad essere più felici. Studi e ricerche recenti sostengono che essere gentili fa bene e fa star meglio rispetto a chi non lo è.
Scegliere di essere gentili migliora la nostra “normalità”, modifica la nostra quotidianità e la rende più gradevole e accettabile. Piccoli e semplici atti restituiti alla loro normalità, come tenere aperta la porta al passaggio di uno sconosciuto in un luogo pubblico o di un collega in ufficio; invitare un collega in pausa caffè ad andare insieme alla macchinetta; sorridere al bambino di una mamma in metro; fare un favore ad un compagno del proprio team, passandogli un documento senza che lo chieda.
Molti altri gesti, tanto semplici quanto “normali”, possono avere un impatto straordinariamente positivo sul nostro benessere relazionale ordinario, quello di tutti i giorni.
E allora, perché non riappropriarci di questa “normalità benefica”?
Paola Fusaro